Nel giugno 2009 sono uscito da un ritiro di meditazione durato quattro anni. Si è trattato di un programma intensivo, affrontato in compagnia di 20 altri monaci, in un remoto e vecchio casale sull’isola di Arran, in Scozia. Eravamo completamente tagliati fuori dal mondo esteriore: niente cellulari, Internet o giornali. Il cibo ci veniva portato da un custode che viveva poco fuori le mura del ritiro, e il nostro rigido programma prevedeva dalle 12 alle 14 ore di meditazione al giorno, praticate perlopiù da soli nelle nostre stanze. Il programma è rimasto identico nel corso di ogni giorno di quei quattro anni. Ci era concesso di parlare un po’ l’uno con l’altro, ma solo durante i pasti o nelle brevi pause tra una sessione e l’altra; tuttavia il programma è diventato ancor più intenso a partire dal secondo anno, quando abbiamo fatto voto di silenzio per cinque mesi.
Non avevo mai provato un ritiro così lungo prima d’allora, e l’ho trovato incredibilmente difficile. Ricordo di aver pensato che era come subire un intervento a cuore aperto, senza anestesia: ti trovavi con le spalle muro, in un angolo della tua cella, costretto fare i conti con i tuoi pensieri e le tue emozioni più dolorose, senza nessuna possibile distrazione o via di fuga. Questo genere di ritiro è un metodo radicale di addestramento meditativo, praticato in molti monasteri tibetani.
L’ambiente completamente immersivo e l’intenso programma di lunghe sessioni meditative costringono il meditante a fare amicizia con la propria mente. In certe circostanze avrei potuto definirlo il momento più infelice della mia vita, eppure, in definitiva, mi hai insegnato molto proprio sulla felicità. Ho imparato che la felicità è una scelta, qualcosa a cui possiamo attingere in noi stessi.
Gli altri monaci e io sapevano nulla di quello che stava accadendo nel mondo esteriore. In quel periodo sono successe molte cose che hanno avuto un notevole impatto sulla cultura, ivi comprese le tecnologie più innovative, come il lancio e la diffusione dell’uso dell’iPhone, l’avvento di YouTube, Twitter e Facebook, nonché eventi storici epocali, come l’elezione del presidente Obama, la crisi finanziaria e l’esecuzione di Saddam Hussein.
L’insegnante che guidava il ritiro, ogni tanto – in genere ogni qualche mese – veniva a vedere come stavamo, e ci elargiva qualche informazione: è così che abbiamo saputo che c’era una “cosa” chiamata Facebook, con cui le persone si chiedevano l’amicizia, e ci si sentiva troppo in colpa a rispondere di no. Ascoltando quelle novità, non potevamo fare altro che starcene là, con gli occhi sbalorditi e pieni di meraviglia.
Una volta uscito dal ritiro, e tornato al mondo «normale», una delle prime cose che ho notato è stata la velocità con cui andavano le cose: tutto e tutti si muovevano con rapidità impressionante. Gli smartphone erano onnipresenti, mentre il BlackBerry era ormai una sorta di dinosauro. Camminando per Londra avevo l’impressione di essere atterrato in piena “apocalisse degli zombie”»”.
La gente pareva vagare in una sorta di trance ipnotica: se ne stavano tutti quanti con gli occhi incollati su quei piccoli schermi. Ho anche notato che nelle stazioni della metropolitana londinese, i poster pubblicitari che fiancheggiavano le pareti accanto alle scale mobili erano ormai stati sostituiti da immagini digitali in movimento, e passargli accanto mi dava le vertigini.
Le persone “qua fuori” forse non avevano percepito l’aumento della temperatura, ma il periodo trascorso in ritiro e il riemergerne mi concedeva una nuova prospettiva su come le cose stessero precipitando. Inoltre ho percepito un cambiamento dello stato d’animo generale: la maggior parte dei notiziari si caratterizzava per un tono leggermente isterico, ed erano dominati da reportage orrendi che invadevano costantemente i cellulari della gente, senza lasciargli alcuna via di fuga.
In questo XXI secolo la nostra relazione con il mondo dell’informazione è completamente cambiata: ne sappiamo decisamente troppo. Persino il modo in cui consumiamo le informazioni – sfuggenti e spezzettate in pochi byte, a cui accediamo con lo «scrolling» e lo «swiping» – ha alterato il panorama secondo il quale elaboriamo la realtà.
Tratto dalle bozze di ‘Felice come un monaco buddhista. La meditazione per il XXI secolo‘, di Gelogng Thubten, Vallardi ©, Tutti i diritti riservati, riproduzione vietata.