JIGME KHYENTSE RINPOCHE
(nato nel 1964)
Consigli a un cestaio padre di famiglia
C’è chi sostiene di non avere nessuno scopo nell’esistenza, eppure ne ha sicuramente uno: quello d’essere felice, come del resto tutti gli altri esseri. Desideriamo tutti tale condizione, e quest’emozione elementare e fondamentale significa che, in noi, c’è un potenziale, una ricchezza da esplorare. Nessuno, nel profondo del proprio cuore, si augura veramente del male. Persino il masochista, che dice di amare farsi del male, lo è perché in tal modo sperimenta piacere.
Sentirsi responsabili dei nostri cari è senz’altro lodevole, ma abbia mo la capacità di aprire la nostra mente quanto basta per assumerci una responsabilità molto più grande, quella dell’infinità degli esseri. Perché limitare le nostre più profonde sensazioni di tenerezza a pochi privilegiati quando possiamo estenderle a tutti gli altri? Peraltro, per quanto concerne i nostri amici e i nostri cari, dobbiamo offrirgli qualcosa di autenticamente utile, di cui potremo felicitarci al momento della nostra morte. Per esempio, non basta far loro un regalo portandoli a fare una crociera in barca. Cosa potrebbe veramente donargli un’esperienza del genere?
Se hanno un problema, potranno forse distrarsi, ma per la maggior parte del tempo quelle loro preoccupazioni li seguiranno come un’ombra, ovunque li conduciate. Se soffrono di un problema di cuore, per esempio se sono stati lasciati dal partner o se qualcuno li ha feriti moralmente, proveranno la stessa amarezza anche a bordo del battello, e quel dolore sarà altrettanto vivo una volta conclusa la cro- ciera. Indubbiamente, per le persone che ci circondano, possiamo fare molto meglio!
Riflettiamo: che cosa ci piacerebbe trasmettere ai nostri figli? Una bella immagine di noi stessi, così che ci faccia sembrare più belli di quanto siamo in realtà? A che scopo? Beni materiali? Significherebbe procurare loro un sacco di problemi. Alla nostra morte litigheranno per ’eredità, e anche se dovessimo dividere tra gli eredi quando siamo ancora in vita, qualcuno si penserà danneggiato e invidierà gli altri che, a suo parere, hanno ricevuto di più. Del resto, il conforto materiale pos- sono ottenerlo con altri mezzi, per esempio lavorando. La nostra presenza? Che lo vogliamo o no, dovremo separarcene al momento della morte. In quel frangente, il loro dispiacere non ci resusciterà, né gli fornirà qualcosa di utile.
Ciò che per contro possiamo lasciar loro in eredità è una fonte d’ispirazione, una visione delle cose che abbia un senso e che possa conferirgli coraggio in qualsiasi istante della loro vita. Per riuscirci ovviamente dobbiamo maturare in noi stessi una certa fede, una convinzione interiore. Ebbene, tale sensazione non può che scaturire dalla nostra mente: ecco perché è davvero giunto il momento di occuparcene.
Fin dalla nostra nascita siamo abituati a lasciare che la mente operi come le pare, come un bambino capriccioso, e oggi siamo costretti a constatare che non ne è scaturito niente di veramente positivo. Diventa così indispensabile riprendere in mano le redini della nostra vita, consacrare il tempo necessario, fosse anche un giorno soltanto.
Meglio quindi ravvedersi e dimostrare buon senso. Giacché, se lasciamo che la nostra mente ci maltratti al punto da costringerci a vivere nella sofferenza, e come se ciò non bastasse facciamo soffrire anche gli altri che ci stanno intorno, significa precisamente che manchiamo di buon senso. Possiamo considerare “negativi” i pensieri e le parole che provengono dalla nostra mente perturbata. Se invece di lamentarci della nostra sorte coltivassimo l’altruismo della compassione, e tali stati d’animo “positivi” migliorassero il nostro benessere e quello altrui, daremmo prova di buon senso.
Lo sgomento in cui ci troviamo è in realtà una benedizione: testimonia la nostra sensibilità. Chi attraversa la vita senza il minimo senti-mento di disagio è semplicemente un incosciente. Lo sconforto indotto dall’acquisire consapevolezza porta con sé un immenso potenziale di trasformazione, un tesoro di energia al quale possiamo attingere a piene mani, e che possiamo utilizzare per costruire qualcosa di migliore, ciò che l’indifferenza non permette affatto.
Prova a immaginare che il mondo intero si sollevi mostrandosi nemico, mentre tu, cestaio, è come se ti trovassi al cospetto di tonnellate di vimini. Per ricavarne dei cesti, occorre intrecciarlo correttamente.
Parimenti, di fronte a tutte quelle difficoltà, devi intrecciare alla perfezione un cesto interiore sufficientemente grande per contenere tutte le controversie della vita che possono sommergerti. Per farla breve, è necessario che tu ti occupi della tua mente con discernimento.
da
COME UNA GOCCIA DI MIELE – di Matthieu Ricard
Piccola antologia dei più bei testi
di buddhismo tibetano
Testi scelti e tradotti dal tibetano con la collaborazione
di Christian Buryat, membro del Comitato di traduzione Padmakara
Nella traduzione di Sergio Orrao