in memoria di Yahne Le Toumelin
Giovinezza
Ci sono persone che nascono con una predisposizione naturale alla compassione. Fin dalla più tenera età dimostrano una benevolenza spontanea nei confronti di coloro che li circondano, animali inclusi. Non è stato il mio caso. Di famiglia bretone, sono andato a pesca fino all’età di quattordici anni. Mi ricordo inoltre che, quand’ero più piccolo, mi divertivo con alcuni compagni di scuola ad abbrustolire le formiche concentrando i raggi del sole con una lente d’ingrandimento. A ripensarci provo vergogna, ma la cosa che più mi sconcerta è che quel comportamento mi sia potuto sembrare normale.
Corrida!
Quando avevo cinque anni, in Messico, mio padre mi ha portato avedere alcune corride. L’atmosfera era di festa e la musica esaltante… Tutti sembravano entusiasti. Perché io non ho lasciato il mio posto e non me ne sono andato in lacrime? Si trattava forse di mancanza di compassione, di educazione o d’iniziativa? Non mi era mai passato per la testa di provare a mettermi nei panni del pesce, della formica o del toro di turno. Avevo semplicemente un cuore duro? O forse non avevo riflettuto, e aperto gli occhi?
Tempo
Mi ci è voluto del tempo per acquisire consapevolezza. Ho trascorso diversi anni in compagnia di una delle mie nonne, che possedevano tutte le qualità del caso. Come molte altre persone, peraltro ottimi genitori o bravi bambini, praticavano con gran passione la pesca alla lenza. Durante le vacanze, passavano spesso i pomeriggi a pescare in riva al lago o sulla passeggiata del Croisic, assieme ad altre anziane bretoni, che portavano ancora la cuffia col pizzo bianco, elemento irrinunciabile del folclore locale. Quelle brave persone avrebbero davvero deliberatamente fatto del male a qualcuno?
L’amo
Attaccati all’amo, i pesci ancora guizzanti, sgusciando fuori dall’acqua, scintillavano alla luce del sole. Certo non era bello vederli soffocare nel paniere di vimini finché i loro occhi diventavano vitrei, ma distoglievo rapidamente lo sguardo.
Autoconsapevolezza
Qualche anno dopo, a quattordici anni, un’amica mi apostrofò con una battuta a bruciapelo: «Ma come? Tu peschi?» Il tono della voce e lo sguardo, nel contempo stupiti e sdegnati, erano piuttosto eloquenti.«Tu peschi?» Improvvisamente lo scenario mi apparve in una luce diversa: il pesce strappato dal suo ambiente vitale con un uncino di ferro che gli trafiggeva la bocca, per poi soffocare nell’aria come noi anneghiamo nell’acqua. E come se ciò non bastasse, per attrarre il pesce, avevo infilzato un verme con l’amo per farne un’esca viva, sacrificando così una vita per distruggerne più facilmente un’altra.
Perché?
Com’era possibile che per tutto quel tempo non ci avessi mai pensato, non mi fossi mai reso conto della realtà, di tutte quelle sofferenze? Profondamente dispiaciuto, rinunciai su due piedi alla pesca. Certo, la mia preoccupazione per dei pesciolini, in confronto ai drammi che devastano la vita di tanti esseri umani nel mondo, può sembrare ridicola. Ma per me quello fu il primo barlume di compassione.
I maestri dello spirito
A vent’anni ebbi l’enorme fortuna di incontrare dei maestri spirituali tibetani che, da allora in poi, avrebbero orientato ogni istante della mia esistenza. I loro insegnamenti erano incentrati sulla strada maestra dell’amore e della compassione universali. Se per lungo tempo non ero mai stato capace di mettermi al posto degli altri, gli insegnamenti di quei maestri mi portarono, a poco a poco, ad aprire la mente e il cuore all’amore altruistico, e a preoccuparmi più che potevo della sorte altrui.
Compassione
Mi sono impegnato nella pratica della compassione, riflettendo profondamente sulla condizione umana e su quella degli animali. Di certo, il cammino da percorrere è ancora lungo, e continuo a fare del mio meglio per progredire nella comprensione degli insegnamenti che ho ricevuto. Non è mia intenzione, è evidente, accusare le persone che, in un modo o nell’altro, fanno soffrire gli animali, spesso inconsapevolmente, come del resto è capitato anche a me.
Ingnorare la sofferenza degli altri, è così facile!
In realtà, è molto difficile, il più delle volte, associare gli oggetti e i prodotti di consumo più diffusi (compresi il cibo e i farmaci che qualche volta ci salvano la vita) alle sofferenze animali, che nella maggior parte dei casi derivano dai processi di produzione. Inoltre, le tradizioni culturali hanno spesso un ruolo preponderante nella percezione degli animali, i nostri compagni su questo pianeta.
Il (presupposto) dominio umano sulla Natura
Alcune società hanno sviluppato uno stile di pensiero collettivo che le induce a ritenere che tutti gli animali siano su questa Terra per servire gli umani, mentre altre tradizioni sostengono da tempo che ogni essere, umano o meno, meriti rispetto. Quest’opera rappresenta la continuazione logica e necessaria del mio “Il gusto di essere altruisti“. Lo scopo è quello di sottolineare le ragioni e l’imperativo morale che giustificano l’estensione dell’altruismo a tutti gli esseri senzienti, senza limiti di carattere quantitativo o qualitativo.
Sofferenza umana e animale
Non c’è dubbio che, rispetto alla quantità enorme di sofferenze umane su scala mondiale, la dedizione di una vita intera sarebbe sufficiente ad alleviarne appena una parte infinitesimale. Malgrado ciò, preoccuparsi della sorte dei circa 1,6 milioni di altre specie che popolano il pianeta non è né irrealistico né fuori luogo poiché, nella maggior parte dei casi, la scelta non è tra il benessere dell’umanità e quello degli animali.
Interdipendenza
Viviamo in un mondo fondamentalmente interdipendente, in cui la sorte di ogni essere, di qualsiasi natura, è intimamente legata a quella degli altri. Non si sostiene, quindi, di prendersi cura soltanto degli animali, ma anche degli animali!
Tratto da “Sei un animale! Perché abbiamo bisogno di una rivoluzione animalista“,
di Matthieu Ricard (Autore), Sergio Orrao (Traduttore). Sperling & Kupfer, 2016 ©, Tutti i diritti riservati, riproduzione vietata.