Il violoncellista di Sarajevo

Qualcuno suonerà per le strade di Kiev?

È il 28 maggio 1992 e Sarajevo è sotto assedio. Musulmani, croati e serbi hanno vissuto insieme per secoli in questa cittadina di tram sferraglianti, pasticcerie, cigni che solcano laghetti nei parchi, moschee di epoca ottomana e cattedrali greco-ortodosse. Una città con tre popoli e tre religioni, dove fino a poco tempo fa nessuno aveva mai badato molto alle differenze. Sapevano chi era chi, ma non se ne curavano: preferivano vedersi come vicini che si incontrano nei caffè e nei ristoranti di kebab, frequentano le stesse università e certe volte si sposano fra loro e mettono su famiglia.


E adesso, una guerra civile. Gli uomini appostati sulle colline che cingono la città hanno tagliato i cavi elettrici e interrotto la fornitura dell’acqua. Lo Stadio Olimpico costruito nel 1984 è andato a fuoco, il campo da gioco è stato convertito in cimitero di fortuna. I palazzi sono crivellati dai colpi di mortaio, i semafori rotti, le strade deserte. Si sente solo il crepitio delle mitragliatrici.


Ma all’improvviso in una stradina pedonale, all’altezza di una panetteria bombardata, hanno cominciato a diffondersi le note dell’Adagio di Albinoni.
La conoscete, questa musica? Se non la conoscete, dovreste fare una pausa e ascoltarla[…]“https://www.youtube.com/watch?v=kn1gcjuhlhg“. È bellissima, conturbante, di una tristezza infinita. Vedran Smailović, primo violoncellista della Filarmonica di Sarajevo, la esegue in onore delle ventidue persone che il giorno prima sono state uccise da un colpo di mortaio mentre facevano la fila per il pane. Smailović era nelle vicinanze quando è avvenuta l’esplosione, e ha aiutato a soccorrere i feriti.

Ora è tornato sulla scena dell’eccidio vestito come per una serata in teatro, camicia bianca e giacca nera a coda di rondine. Si è seduto su una sedia di plastica bianca in mezzo alle macerie, si è sistemato lo strumento tra le gambe. E le note struggenti dell’Adagio hanno cominciato a salire verso il cielo.
Tutt’intorno a lui i fucili sparano, le bombe esplodono, le mitragliatrici sventagliano. Smailović continua a suonare. Lo farà per ventidue giorni consecutivi, tanti quante le vittime dell’attacco alla panetteria. Miracolosamente non verrà raggiunto da nessun proiettile.


La città è racchiusa in una valle, circondata da alture dalle quali i cecchini mirano ai cittadini in cerca di pane. Molti aspettano per ore prima di attraversare la strada, poi passano di corsa come cervi inseguiti da un cacciatore. Eppure quest’uomo siede in una piazza, elegantissimo, come chi ha tutto il tempo del mondo.


Chiedete a me se sono pazzo a suonare il violoncello in mezzo a un campo di battaglia, sembra dire, perché non chiedete a loro se sono pazzi a bombardare Sarajevo?
Grazie alla radio il suo gesto fa il giro della città. Verrà ricordato in film e romanzi. Ma prima ancora di questo, nella fase piú buia dell’assedio, altri musicisti ne traggono ispirazione e scendono in strada coi loro strumenti.

Non suonano marce vivaci per dare coraggio ai soldati che combattono i cecchini, né brani pop per tenere alto l’umore della popolazione. Suonano l’Adagio. Il nemico attacca con bombe e fucili e loro rispondono con la musica piú dolceamara che conoscano.
Noi non combattiamo, dicono i violinisti; non siamo nemmeno vittime, rispondono le viole. Siamo solo esseri umani, cantano i violoncelli, solo esseri umani, imperfetti, bellissimi, affamati d’amore.

Sono passati pochi mesi. La guerra civile infuria ancora e il corrispondente estero Allan Little osserva una processione di quarantamila civili che emerge da un bosco. Hanno camminato per quarantotto ore di fila, in fuga da un attacco. Tra loro c’è un uomo di ottant’anni. Ha l’aria esausta e disperata. Il vecchio si avvicina a Little, gli chiede se per caso ha visto sua moglie. Si sono persi di vista durante la lunga marcia, gli spiega. Little non l’ha vista, ma perfino lui che è un giornalista chiede all’uomo di identificarsi come croato o musulmano. La sua risposta, come Little ha raccontato in un memorabile servizio della Bbc, lo fa vergognare ancora a distanza di decenni.
«Io sono un musicista», ha detto.

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5 risposte

  1. Grazie! Una commozione che si ripete, ahimè, come le guerre che continuano a mietere ‘a buon diritto’ vittime inconsapevoli. Quanti violini dovranno piangere ancora?

    1. Cara Giovanna, quando rimarranno solo i violini, non dovranno più piangere nessuno, e nel mondo finalmente regnerà la pace.

    1. Hai ragione! L’arte che si ribella alla guerra, non con altra guerra, ma con l’arte stessa, che sfida le bombe, i proiettili, i cecchini…

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