La morte nella tradizione celtica

La Morte nella Tradizione Celtica

Nella tradizione celtica c’è un’elegante percezione del miracolo della morte. Nella spiritualità celtica ci sono molte preghiere in proposito. Per i Celti, il mondo eterno era così prossimo a quello naturale che la morte non era percepita come un evento incredibilmente distruttivo o terrificante. Quando entriamo nel mondo eterno, facciamo ritorno a una dimora in cui né ombra, né dolore o tenebre potranno più toccarci. A tale proposito, voglio citare questa bella preghiera celtica:

Sto tornando a casa con te, alla tua casa, alla tua casa,

Sto tornando a casa con te, alla tua dimora invernale.

Sto tornando a casa con te, alla tua casa, alla tua casa,

Sto tornando a casa con te, alla tua dimora autunnale, primaverile ed estiva.

Sto tornando a casa con te, tuo figlio del mio amore, al tuo eterno letto e al sonno eterno.

                      (trad. di A. Charmichael)

In questa preghiera, l’intero mondo della natura e delle stagioni è magnificamente legato alla presenza della vita eterna.

Non potremo mai comprendere la morte o apprezzarne la solitudine, finché non ci farà visita. Nel Connemara si è soliti dire: «Ni thuigfidh tú an bás go dtiocfaidh sé ag do dhorás féin». Che significa: «Non si comprende la morte finché non bussa alla nostra porta». C’è poi un’altra espressione ricorrente: «Is fear direach è an bás, ní chuire-ann sé scéal ar bith roimbhe», ovvero: «La morte è un individuo molto diretto, non si fa annunciare». E mi piace citare quest’ultima frase popolare: «Ní féidir dul i bhfolach ar an mbás», e cioè: «Non c’è posto dove nascondersi dalla morte». Con ciò s’intende dire che quando la morte viene a cercarci, sa sempre dove trovarci!

Quando la Morte ci fa Visita…

La morte è un visitatore solitario: dopo che venuta a trovarci, nulla è più come prima. A tavola resterà un posto vuoto e in casa si percepirà un’assenza. La morte di una persona che ci è cara è un’esperienza estraniante e devastante. In noi si spezza qualcosa, che nessuno potrà mai riparare. La persona che amavamo, quella di cui conoscevamo così bene il viso, le mani e il corpo, se n’è andata per sempre. Per la prima volta, il suo corpo è completamente vuoto, e ciò è tanto strano quanto terribile.

Dopo la morte, nella mente si affollano molti interrogativi, su dove sia ora, cosa veda e provi. La morte di una persona cara è un’esperienza di amara solitudine: quando amiamo veramente qualcuno, preferiremmo morire al suo posto. Fatto sta che, quando giunge il momento fatidico, nessuno può sostituire l’altro. Ognuno di noi deve andarsene da solo. La morte di una persona è un fenomeno così bizzarro: sparisce dalla vista, letteralmente. Nell’esperienza umana ci sono vari tipi di continuità e discontinuità, di vicinanza e di distanza, ma col sopraggiungere della morte, varchiamo l’ultima frontiera: il defunto scompare dal mondo visibile della forma e della presenza.

Veniamo al mondo dal nulla, e alla nostra morte scompariamo nel nulla. Se abbiamo un dissapore con la persona amata, e questa se ne va, forse sentiremo il disperato bisogno di incontrarla nuovamente, indipendentemente dalla distanza che ci separa. Il terribile momento della solitudine del dolore sopraggiunge allorché ci rendiamo conto che non potremo mai più vedere chi è scomparso. Ci sarà solo l’assenza della sua vita, l’assenza della sua voce, del suo volto e della sua presenza, che, per dirla con le parole di Sylvia Plath, comincia a crescere al nostro fianco come un albero. 

dalla bozza di traduzione di ‘Anam Cara‘, di John O’Donoueh, in corso di traduzione per Mondadori. © Tutti i diritti riservati, riproduzione vietata.

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