Nel XIII secolo, il leggendario Nasreddin rivolse il suo sguardo saggio (o forse folle) sul nostro comportamento e sulle nostre imperfezioni. Nascono così queste storie che, da allora, hanno viaggiato nel mondo e nel tempo, dalla Turchia alla Mongolia, passando per l’India e l’Iran. Attraverso le vicende di Nasreddin, Matthieu Ricard e Ilios Kotsou ci guidano in queste pagine lungo un cammino che porta alla libertà interiore rispondendo ai grandi interrogativi della vita: come cambiare prospettiva? Come liberarci dalle costruzioni mentali? Come essere autentici? Come agire nel migliore dei modi? «Le storie» affermano gli autori «hanno il potere di risvegliare la saggezza in ognuno di noi. Abbiamo più che mai bisogno di questa saggezza. Non di una saggezza dogmatica o arida, ma di una saggezza vivace, impertinente, liberatoria, capace di aprirci gli occhi sulle illusioni che ci circondano. Benché possa sembrare eccentrica e fuori dagli schemi, la saggezza di Nasreddin non è per questo meno autentica: ci riporta alla realtà, ci restituisce l’armonia con la vita. Ci invita a non prenderci troppo sul serio e a liberarci dai preconcetti. In fondo su questa Terra non siamo forse tutti visitatori, e pure per un tempo limitato?»
Una fredda sera d’inverno, Nasreddin si trovava in un caravanserraglio con i suoi amici, sorseggiando un tè ben caldo, vantandosi com’era solito fare.
«Scommetto», esclamò a un certo punto, «di poter restare tutta la notte fuori nella neve, all’addiaccio, senza neppure un fuocherello».
«Dai, è impossibile! Fa davvero troppo freddo!», ribatté uno degli amici, contemplando l’intensa nevicata dalla finestra.
«Ebbene, se perdo questa scommessa, domani sera siete tutti invitati a cena a casa mia!»
Ciò detto, tutti tornarono a casa, al calduccio, mentre Nasreddin sedette nel bel mezzo della piazza del villaggio. Se ne restò là, impassibile, noncurante del freddo pungente, e ben deciso a vincere la scommessa. Per riscaldarsi un po’ batteva le mani e i piedi, mantenendo lo sguardo fisso sulla fiamma d’una candela che illuminava una casa vicina, tanto per evocarne il calore, almeno nella sua mente.
Infine spuntò l’alba, e Nasreddin tornò a casa, spossato e tremante di freddo, ma soddisfatto di aver superato la prova e così vinto la scommessa.
Incuriositi, gli amici andarono a trovarlo, e gli chiesero:
«Ma come hai potuto restare sveglio e resistere tutta la notte a quel freddo glaciale?»
«Mi sono concentrato su una candela accesa in una casa là di fronte».
«Ah, ah!», esclamarono gli amici. «Se una candela ha prodotto il calore con cui ti sei riscaldato, vuol dire che hai perso la scommessa!»
Nasreddin obiettò, sostenendo che una candela posta a diversi metri di distanza non avrebbe potuto riscaldare nessuno, ma gli altri, che avevano già l’acquolina in bocca all’idea di un buon pasto, restarono della loro idea, inflessibili. Nasreddin fu quindi costretto a offrigli la cena che aveva promesso.
Venne la sera, e tutti i suoi amici si presentarono alla porta di Nasreddin, che li fece subito accomodare.
«In realtà, la cena non è ancora pronta», li avvisò precipitandosi in cucina.
Passò un bel po’ di tempo, senza che accadesse nulla.
Finalmente, esaurita la pazienza, gli amici chiamarono Nasreddin e si offrirono di aiutarlo in cucina, così da poter finalmente mettere qualcosa sotto i denti, e questi accettò di buon grado.
Entrati in cucina, videro un pentolone sospesa sul focolare. Tuttavia, la sola fiamma ad ardere era quella di una candela posta a diversi metri di distanza.
«Ancora qualche minuto di pazienza», annunciò maliziosamente Nasreddin, «non dovrebbe mancare molto prima che cominci a bollire. Una candela produce così tanto calore, anche a distanza, come ben sapete!»