Solitudine Ascetica
La solitudine ascetica è un cammino ostico. Ci si ritira dal mondo per raggiungere una visione più nitida di chi siamo, cosa stiamo facendo e dove ci sta conducendo la nostra vita. Le persone che cercano tutto ciò con impegno assoluto vengono definiti “contemplativi”. Quando fate visita a qualcuno, l’ingresso, la soglia, sono impregnati della trama di presenze costituita da tutti benvenuti e i commiati di cui sono stati testimoni. Allorché ci capita di visitare un monastero o un convento di clausura, nessuno ci viene incontro all’ingresso; suoniamo un campanello, e dietro la grata si mostra qualcuno. Si tratta delle dimore peculiari in cui vivono i superstiti della solitudine. Costoro si sono allontanati, in esilio, dalle apparenze esteriori di questo mondo, per arrischiarsi a dimorare in uno spazio interiore in cui i sensi non hanno nulla da celebrare.
La solitudine ascetica richiede silenzio, e il silenzio è una delle grandi vittime della cultura moderna. Viviamo in un’era dai ritmi e dalle immagini estremamente aggressivi; tutto viene portato in direzione della dimensione dell’immagine. E che proprio l’immagina abbia raggiunto un tale potere è una delle conseguenza di una cultura sempre più sempre più omogeneizzata ed universalista. Nella continua crescita della rete di interrelazioni, le immagini prescelte possono raggiungere immediatamente l’universalità. C’è un’intera industria della moderna dislocazione, incredibilmente astuta e dotato di un enorme potenziale di calcolo, dove tutto ciò che è profondo e vive nel nostro silenzio interiore viene completamente ignorato. La superficie della nostra mente non smette un attimo di essere sedotta dal potere delle immagini. Sta avendo luogo uno sventurato ‘espianto’: la vita delle persone è continuamente spinta a rivolgere lo sguardo all’esterno, tanto dalle forze dominati della pubblicità quanto da quelle della realtà sociale esteriore. Viviamo esiliati dalla nostra interiorità, e ciò ci impoverisce incredibilmente. Una delle principali ragioni per cui così tante persone soffrono di stress non è dovuta al fatto che sono addetti a mansioni stressanti, ma che concedono così poco spazio al silenzio. Non è possibile concepire una solitudine fruttuosa senza i due ingredienti del silenzio e dello spazio.
Il silenzio è una delle principali soglie del mondo. La spiritualità dei Padri del Deserto ha profondamente influenzato la spiritualità celtica. Per questi asceti, il silenzio era un maestro: «Un certo fratello si recò in Scizia dall’abate Mosè per chiedere consiglio. Il vecchio monaco gli disse: «Va’ e siedi nella tua cella, e sarà proprio quella cella a insegnarti ogni cosa». Nel mondo celtico silenzio e sconosciuto sono da sempre stati considerati i compagni più intimi del cammino umano. Gli incontri e gli arrivederci, che aprivano e chiudevano gli incontro, c’erano sempre benedizioni. Nel Táin Emer concede a Cúchulainn un’amorevole benedizione, dicendogli dice: «Che la tua strada sia benedetta», ovvero, tradotto alla lettera: «Conduco intorno a te un cocchio che volta a destra». Il cammino da sinistra a destra è eguale a quello del sole e si considerava un segno di buon auspicio. Alle radici della poesia e della preghiera dei Celti, c’è sempre la convinzione che le parole emergano da un silenzio profondo, reverenziale. Tale prospettiva si solitudine e silenzio purificava e intensificava l’incontro tra due persone nell’esperienza dell’anam-ċara.
Fondamentalmente, il linguaggio scaturisce da un grande silenzio: non c’è parola che non provenga dal silenzio. Le parole che hanno una profondità, una risonanza, quelle che possono risultare terapeutiche e che sanno sostenere le sfide, sono parole colme di silenzio ascetico. Il linguaggio che non riconosce la sua associazione con la realtà è banale, denotativo e puramente discorsivo. Il linguaggio poetico sorge dal silenzio, e al silenzio ritorna. La conversazione è una delle vittime della cultura moderna. Di norma, quando rivolgiamo la parola al prossimo, tutto ciò è un resoconto superficiale o una successione di indicazioni terapeutiche. È assai doloroso sentire persone che descrivono se stesse in termini di progetti in cui sono coinvolte o di attività esteriori in cui sono implicate o hanno un ruolo particolare.
Ogni persona è il consegnatario quotidiano di nuovi pensieri e di sensazioni inattese. Eppure, molto spesso, vista la natura dei nostri rapporti sociali e considerato il modo in cui ci siamo abituati a descriverci, questi nuovi pensieri e sensazioni, restano inespressi, e ciò soprattutto perché non sarebbero ben accetti! Tutto ciò è sconfortante, perché uno dei doni più preziosi che abbiamo ereditato ci è giunto in virtù di conversazioni profonde e significative. La tradizione celtica era prevalentemente orale. Storie, poesie e preghiere sono sopravvissute per secoli nella memoria e nella voce della gente, che le mandava a memoria. La compagnia e la presenza di una così ricca raccolta di memorie, contribuiva alla loro percezione e discussione. In assenza di memoria, la conversazione si fa amnesiaca, ripetitiva e superficiale. In tal modo la conversazione si traduce in autentica esplorazione. Quando coinvolge sia memoria sia esperienza, la conversazione si fa più intensa, e In tal modo può tradursi in una vera esplorazione, ovvero in uno scambio in cui ci sia spazio per imprevedibilità, pericolosità e significato. In un contesto del genere, improvvisamente può esserci una svolta, e comunque si è sempre sul limitare dell’inatteso e dello sconosciuto. L’autentica conversazione non è una creazione di un ego solitario, ma fa comunità. Oggigiorno, gran parte del nostro parlare è simile a un ragno che intesse maniacalmente la propria tela al di fuori di sé, una tela fatta di parole. Le nostre non sono più conversazioni, sono monologhi paralleli che, con il loro balbettante staccato non fanno che rinforzare il nostro isolamento. C’è così poca tolleranza per il silenzio da cui emergono le parole o per il silenzio tra le parole, o nelle parole… Quando dimentichiamo o trascuriamo volontariamente tale silenzio, svuotiamo il nostro di tutti i suoi segreti e di tutte le sue impercettibili presenze. Com’è ovvio, non è più possibile conversare con un morto, o con chi non è presente.
Traduzione da Anam Ċara, bozza non riletta né corretta, quindi può contenere errori e refusi, ma è comunque coperta da ©. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.