E così, oggi alle ore 23.16, ho concluso la traduzione di Anam Ċara.
Chi non ha mai tradotto un libro intero non può capire cosa si prova. È un’esperienza già vissuta, ma sempre diversa. Ormai ho perso il conto: tra le traduzioni che ho firmato, e quelle che ho fatto almeno in buona parte sostituendo colleghi stanchissimi o oberati dal lavoro, e quindi non siglati da me (sì, tra colleghi-amici ci si aiuta anche così) forse ho superato i 110 titoli… In trent’anni e più, letteralmente volati via!
È come aver scalato una montagna, e ritrovarsi all’improvviso a contemplare l’orizzonte da lassù. Ma guardo anche laggiù, a valle, dove la mia piccozza ha lascito le prime tracce sulla roccia, tracce indelebili, nell’anima e nelle parole che ho scritto.
Mi sembra di aver cominciato ieri. Eppure ora ho deposto lo zaino, respiro a pieni polmoni, e mi guardò intorno. È stata una scalata facile, e per tutto il tempo ho sentito vicino a me la ‘presenza’ dell’autore, John O’Donoueh, purtroppo morto prematuramente, ma ancora vivo nei sui scritti e nella memoria di tutti quelli che l’hanno conosciuto o letto. Lo ringrazio per avermi fatto compagnia: non mi ha mai lasciato solo, e mi ha sempre ispirato. Custodisco nel cuore l’immagine del suo bel sorriso e della sua tomba di famiglia, immersa nel verde dell’Irlanda.
Tra poco anche i lettori italiani potranno leggerlo, e questa è per me la più grande remunerazione. Certo, restano ancora la postfazione, i commenti degli amici, alcune note biografiche, la bibliografia, la lettura e la rilettura, con relative correzioni. Ma sono arrivata un’altra volta in cima. Intanto mi siedo per terra, accendo un sigaro e guardo le stelle. Alla fine di tutto, a metà maggio, scenderò giù portandomi dietro tutte le bozze, ormai leggere come una nube, e soltanto un bel sassolino tondo, raccolto quassù, in cima. Un altro ricordo di una bella avventura.
Respirate, siamo vivi!
