Una botta di felicità

Riflessioni sulla felicità nell’età odierna

Ho scoperto che molte persone cercano un genere di felicità che altro non è che una sensazione fugace: una «botta», una sorta di iniezione di energia puntata al cuore. Ma l’effetto non dura e appena si esaurisce si comincia a desiderare una nuova dose.

Viviamo in un’epoca che pone molta enfasi sul benessere. Siamo sempre alla ricerca di picchi di energia, come quelli forniti dall’abuso di zucchero, e così saltiamo da uno sballo all’altro, tentando allo stesso tempo di stimolare e appagare i sensi, talvolta tutti e cinque contemporaneamente. Buona parte del cibo e delle bevande che consumiamo ci forniscono una carica istantanea, ma inconsistente: zucchero, additivi, caffè, «carboidrati di conforto»… A metà pomeriggio siamo già esausti, e allora mangiamo una barretta energetica, di cioccolato, o ci facciamo un caffè per tirarci su. C’è una pubblicità di una nota marca di patatine che recita: «Once you pop, you can’t stop» [Se cominci, non smetti più!], e una cosa è certa: gli ingredienti del prodotto sono stati messi insieme in modo che, una volta aperta la confezione, non la si riesca a mollare finché non è finita. Ma troveremo mai una soddisfazione definitiva?

Se si confrontano i programmi tv e i film attuali con quelli del passato, una delle prime cose che balzano agli occhi è che lo stile cinematografico di oggi tende a servirsi di immagini eccitanti ed estremamente dinamiche, per stimolare i sensi. Film, trasmissioni, pubblicità e video musicali contengono a volte anche centinaia di inquadrature in un paio di minuti, e questo è in parte dovuto al fatto che siamo estremamente distratti, e assuefatti a una sollecitazione sensoriale continua. Un vecchio film in bianco e nero, con lunghe riprese fisse e una sola sequenza, ci appare noioso; è quello che viene definito un «film d’essai» e che non verrà mai messo bel cartellone di un cinema commerciale. Siamo attratti da esperienze forti, eccitanti e impressionanti, che riflettono il nostro attuale modo di vivere.

I social ci danno allo stesso tempo una forte sensazione di connessione e di profondo isolamento. Persi nei nostri schermi, facciamo scorrere le immagini di persone che mangiano i loro piatti mentre noi consumiamo il nostro, e troviamo sempre più noioso starcene semplicemente seduti e godersi il presente. Ormai è difficile vivere esperienze semplici; al contrario, cerchiamo sempre input multipli, mangiando mentre guardiamo la televisione, o scorrendo i social mentre ascoltiamo della musica. Presto però tutto ci annoia, e così ci mettiamo alla ricerca di nuove esperienze, anche se queste sembrano immancabilmente sfuggirci. Siamo dipendenti dai «mi piace», dall’ultimo luccicante dispositivo tecnologico lanciato sul mercato, o da qualsiasi cosa che prometta di regalarci una sensazione piacevole.

Ci sentiamo stanchi, andiamo avanti a colpi di cortisolo e adrenalina, gli ormoni dello stress; le tossine che introduciamo si accumulano nell’organismo e ci fanno sentire spossati e malati. Il desiderio genera desiderio, rafforzando un’abitudine mentale che si perpetua da sola e che rende tutto insoddisfacente, perché quando otteniamo ciò che volevamo la nostra mente è già passata oltre, a caccia di qualcosa di nuovo. È come un appetito insaziabile, e ci chiediamo: «Cosa viene dopo? Quando mi sentirò davvero soddisfatto?» Ma io mi chiedo: è questa la felicità?

Il principale ormone coinvolto in queste fugaci botte di felicità è la dopamina, ed è interessante notare come i suoi livelli crescano bruscamente prima di aver raggiunto ciò che desideriamo, per poi crollare. Quando stiamo per assaggiare una bella fetta di torta o ci prepariamo per andare a una festa, siamo presi dall’eccitazione, ma se non riusciamo a ottenere l’oggetto delle nostre brame, la dopamina cala. Laconseguenza è che viviamo sempre protesi verso il futuro. Anche gli animali sperimentano picchi di dopamina, per esempio quando stanno per consumare un pasto.

L’anticipazione è sempre la parte più eccitante: quando sarò ricco… Quando incontrerò la persona giusta… Quando avrò il fisico che dico io… In realtà è una condizione che non arriverà mai, perché le nostre stesse aspettative consolidano l’abitudine a guardare oltre, a restare in attesa di ciò che verrà dopo, il che significa che non ci sentiremo mai davvero giunti a destinazione. La nostra felicità diventa dipendente dai «se», dai «quando», dai «perché». Ma è questa la vera felicità?

Tratta da «Felice come un monaco buddhista. La meditazione per il XXI secolo», Vallardi editore, 2013, ©. Riproduzione vietata, tutti i diritti riservati.
di  Gelong Thubten  (Autore), traduzione di Sergio Orrao.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *